Voltaire (pronunciato in italiano /volˈtɛr/[1]; in francese [vɔltɛːʀ]), pseudonimo di François-Marie Arouet ([fʀɑ̃swa maʀi aʀwɛ]; Parigi, 21 novembre 1694 – Parigi, 30 maggio 1778), è stato un filosofo, drammaturgo, storico, scrittore, poeta, aforista, enciclopedista, autore di fiabe, romanziere e saggista francese.
Il nome di Voltaire è legato al movimento culturale dell'illuminismo, una corrente di pensiero del '700, di cui fu uno degli animatori e degli esponenti principali insieme a Montesquieu, Rousseau, Diderot, d'Alembert, d'Holbach e du Châtelet, tutti gravitanti attorno all'ambiente dell'Encyclopédie.[2] La vasta produzione letteraria di Voltaire si caratterizza per l'ironia, la chiarezza dello stile, la vivacità dei toni e la polemica contro le ingiustizie e le superstizioni.[3][4] Deista,[5] cioè seguace della religione naturale che vede la divinità come estranea al mondo e alla storia, ma scettico, fortemente anticlericale e laico, Voltaire è considerato uno dei principali ispiratori del pensiero razionalista e non religioso moderno.[6][7]
Le idee e le opere di Voltaire, così come quelle degli altri illuministi, hanno ispirato e influenzato moltissimi pensatori, politici e intellettuali contemporanei e successivi e ancora oggi sono molto diffuse. In particolare hanno influenzato protagonisti della rivoluzione americana, come Benjamin Franklin e Thomas Jefferson, e di quella francese, come Jean Sylvain Bailly (che tenne una proficua corrispondenza epistolare con Voltaire), Condorcet (anche lui enciclopedista) e in parte Robespierre,[8][9] oltre che molti altri filosofi come Cesare Beccaria,[10] Karl Marx[11] e Friedrich Nietzsche.[12]
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François-Marie Arouet nacque il 21 novembre 1694 a Parigi in una famiglia appartenente alla ricca borghesia. Come lo stesso pensatore sostenne a più riprese, la data di nascita riferitaci dai registri di battesimo – che lo collocano al 22 novembre e affermano che il futuro scrittore nacque il giorno prima – potrebbe essere falsa: a causa di gravi problemi di salute il battesimo sarebbe infatti stato rimandato di ben nove mesi; egli affermò infatti di essere nato il 20 febbraio 1694.[13] Poiché tuttavia la prassi vuole che in caso di pericolo per il bambino il battesimo venga impartito immediatamente, occorre ritenere che, se ritardo vi fu, esso sia dipeso da altre ragioni. Il padre François Arouet (morto nel 1722), avvocato, era anche un ricco notaio, conseiller du roi, alto funzionario fiscale e fervente giansenista, mentre la madre, Marie Marguerite d'Aumart (1660-1701), era appartenente a una famiglia vicina alla nobiltà. Il fratello maggiore Armand (1685–1765), avvocato al Parlamento, poi successore del padre come receveur des épices, era molto inserito nell'ambiente giansenista all'epoca della fronda contro la Bolla Unigenitus e del diacono Pâris. La sorella, Marie Arouet (1686–1726), l'unica persona della famiglia che fu affezionata a Voltaire, sposò Pierre François Mignot, correttore presso la Chambre des comptes, e fu la madre dell'abate Mignot, che giocò un ruolo importante alla morte di Voltaire, e di Marie Louise, la futura Madame Denis, che condividerà una parte della vita dello scrittore come sua concubina.
Originario dell'Haut-Poitou, precisamente di Saint-Loup, piccola località situata nell'attuale dipartimento Deux-Sèvres, François si trasferì a Parigi nel 1675 e si sposò nel 1683. Voltaire fu l'ultimo di cinque figli: il primogenito Armand-François morì tuttavia ancora piccolo, nel 1684, e stessa sorte toccò cinque anni più tardi al fratello Robert. Il citato Armand vide la luce nel 1685, mentre l'unica femmina, Marguerite-Catherine, nacque nel 1686.[14][15] Voltaire perse la madre a soli 7 anni e venne cresciuto dal padre con cui avrà sempre un rapporto molto conflittuale.[16]
Nell'ottobre 1704 entrò al rinomato collegio gesuita Louis-le-Grand. In questo periodo il giovane Voltaire dimostrò una spiccata inclinazione per gli studi umanistici, soprattutto retorica e filosofia. Benché destinato a essere molto critico nei confronti dei gesuiti, Voltaire poté beneficiare dell'intensa vita intellettuale del collegio.[17] L'amore per le lettere fu favorito in particolare da due maestri. Nei confronti del padre René-Joseph de Tournemine, erudito direttore del principale giornale dei Gesuiti – le Mémoires de Trévoux – con cui avrebbe avuto qualche dissidio in materia di ortodossia religiosa, nutrì sempre gratitudine e stima.[18] Con il professore di retorica, il padre Charles Porée, l'adolescente strinse un'amicizia anche più intensa e altrettanto duratura; l'ecclesiastico, che fu maestro di illustri pensatori quali Helvétius e Diderot, era inoltre molto attivo in ambito letterario. Porée licenziò un'ampia produzione di poesie, oratori, saggi e canovacci teatrali, messi in scena, questi ultimi, nello stesso Collegio, dove il grande interesse per il teatro mise subito Voltaire a contatto con un'arte che avrebbe praticato lungo tutta la sua carriera.[19] Qualche mese prima di morire, verso gli 85 anni, la famosa cortigiana e protettrice delle arti Ninon de Lenclos si fece presentare il giovane Arouet, allora circa undicenne[20] e, colpita dalle sue capacità, nel suo testamento gli lasciò 2 000 lire tornesi (l'equivalente di 7800 € del 2008)[21] affinché potesse acquistarsi dei libri; si trattava di una discreta somma per l'epoca (in effetti, all'inizio del XVIII secolo, come nota il maresciallo Vauban sulla Dîme royale, un semplice lavoratore a giornata guadagnava meno di 300 lire all'anno).
Nel collegio raggiunse un'approfondita conoscenza del latino, tramite la lettura di autori come Virgilio, Orazio, Lucano, Cicerone; di contro, assai scarso o forse del tutto assente fu l'insegnamento del greco[22][23]. Nel corso della vita studierà e parlerà in maniera fluente tre lingue moderne, oltre al francese: l'inglese, l'italiano e, in misura minore, lo spagnolo, che userà in molte lettere con corrispondenti stranieri.[24]
Lo stesso argomento in dettaglio: Corrispondenza di Voltaire.
Nel 1711 lasciò il collegio e s'iscrisse, per volere paterno, alla scuola superiore di diritto, che comunque lasciò dopo soli quattro mesi con fermo e deciso disgusto, in quanto egli non aveva mai espresso alcun desiderio di fare l'avvocato.[25] In questi anni s'inasprì molto il rapporto con il padre, il quale mal sopportava la sua vocazione poetica e i continui rapporti con i circoli filosofici libertini, come la Societé du Temple di Parigi. Indicativo di ciò è il fatto che Voltaire si vantava (a torto o a ragione) di essere un figlio illegittimo.[26][27] Nel 1713 lavorò come segretario all'ambasciata francese all'Aja, poi tornò a Parigi per svolgere il praticantato presso un notaio, per cercare di omaggiare rispettosamente le orme del tanto odiato padre; in realtà egli desiderava sottrarsi alla pesante influenza del genitore, che infatti ripudiò dopo poco tempo, e cominciò a scrivere articoli e versi duri e caustici verso le autorità costituite.[28]
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I suoi scritti molto polemici trovarono immediato successo nei salotti nobiliari[29]; nel 1716 ciò gli costò l'esilio a Tulle e Sully-sur-Loire; alcuni versi satirici, del 1717, contro il reggente di Francia Filippo d'Orléans, che governava in nome del giovanissimo Luigi XV, e contro sua figlia, la duchessa di Berry[30], gli causarono l'arresto e la reclusione alla Bastiglia, poi un altro periodo di confino a Châtenay.[31] Alla morte del padre, nel 1722, l'investimento oculato dell'eredità paterna mise Voltaire al riparo per sempre da preoccupazioni finanziarie, permettendogli di vivere con una certa larghezza.[32] La pubblicazione del poema La Ligue del 1723, scritto durante la prigionia, ottenne invece l'assegnazione di una pensione di corte da parte del giovane re.[33] L'opera, dedicata al re Enrico IV di Francia, giudicato un campione della tolleranza religiosa in contrasto con l'oscurantista e intollerante Luigi XIV (che ebbe contrasti col papa, ma revocò l'editto di Nantes, tornando alle persecuzioni contro ugonotti e giansenisti), verrà pubblicata nuovamente col titolo Enriade, nel 1728.[34] Il favore che gli mostrarono subitaneamente i nobili di Francia non durò a lungo: sempre per colpa dei suoi scritti mordaci, litigò con l'aristocratico Guy-Auguste de Rohan-Chabot, cavaliere di Rohan, che l'aveva apostrofato con scherno presso un teatro. Il giorno seguente Rohan lo fece aggredire e malmenare dai suoi domestici, armati di bastone, per poi rifiutare con sprezzo il duello di riparazione del torto, proposto dal giovane poeta.[35] Le proteste di Voltaire gli servirono solo a essere imprigionato nuovamente, grazie a una lettre de cachet, cioè un ordine in bianco di arresto (spettava a chi possedeva il documento aggiungere il nome della persona da colpire), ottenuto dalla famiglia del rivale e firmata da Filippo d'Orléans.[36][37] Dopo un breve periodo in esilio fuori Parigi, Voltaire, sotto minaccia di un nuovo arresto, si vide costretto a emigrare in Inghilterra (1726-1729).[38][39] In Gran Bretagna, grazie alla conoscenza di uomini di cultura liberale, scrittori e filosofi come Robert Walpole, Jonathan Swift, Alexander Pope e George Berkeley, maturò idee illuministe contrarie all'assolutismo feudale della Francia.[40]
Dal 1726 al 1728 visse in Maiden Lane, Covent Garden, nel luogo oggi ricordato da una targa al n. 10.[41] L'esilio di Voltaire in Gran Bretagna durò tre anni e questa esperienza influenzò fortemente il suo pensiero. Era attratto dalla monarchia costituzionale, in contrasto con la monarchia assoluta francese, e da una maggiore possibilità delle libertà di parola e di religione e il diritto di habeas corpus.[42] Venne influenzato da diversi scrittori neoclassici dell'epoca, e sviluppò un interesse per la letteratura inglese precedente, soprattutto le opere di Shakespeare, ancora relativamente sconosciuto in Europa continentale. Nonostante sottolineasse le sue deviazioni dagli standard neoclassici, Voltaire vide Shakespeare come un esempio che gli scrittori francesi potevano emulare, poiché nel dramma francese, giudicato più lucido, mancava l'azione sul palco. Più tardi, tuttavia, come l'influenza di Shakespeare crebbe in Francia, Voltaire cercò di contrastare ciò con le proprie opere, denunciando ciò che considerava "barbarie shakesperiana".[43] In Inghilterra fu presente al funerale di Isaac Newton ed elogiò gli inglesi per aver onorato uno scienziato considerato eretico con la sepoltura nell'abbazia di Westminster.[44][45][46]
Dopo quasi tre anni di esilio, Voltaire tornò a Parigi e pubblicò le sue opinioni nei confronti del governo britannico, la letteratura e la religione in una raccolta di saggi, le Lettere inglesi (o Lettere filosofiche), pubblicate nel 1734 e per le quali venne di nuovo condannato, in quanto aspramente critiche contro l'ancien régime e antidogmatiche.[38][47] Nell'opera Voltaire considera la monarchia inglese - costituzionale, sorta in maniera compiuta dalla Gloriosa rivoluzione del 1689 - come più sviluppata e più rispettosa dei diritti umani (in particolare la tolleranza religiosa) rispetto al suo regime omologo francese.[48][49]
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Durante l'esilio in Inghilterra assunse lo pseudonimo di "Arouet de Voltaire" (già usato però come firma nel 1719), poi accorciato in Voltaire, per separare il suo nome da quello del padre ed evitare confusioni con poeti dal nome simile.[50][51] L'uso dello pseudonimo era diffuso nell'ambiente teatrale, come già era all'epoca di Molière, ma l'origine del nom de plume è incerta e fonte di dibattito; le ipotesi più probabili sono:
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Costretto ancora esule in Lorena (a causa dell'opera Storia di Carlo XII del 1731), scrisse le tragedie Bruto e La morte di Cesare, cui seguirono Maometto ossia il fanatismo, che volle polemicamente dedicare al papa Benedetto XIV, Mérope, il trattato di divulgazione scientifica Elementi della filosofia di Newton.[60] In questo periodo cominciò una relazione con la nobildonna sposata Madame du Châtelet, che lo nascose nella sua casa di campagna a Cirey, nella Champagne. Nella biblioteca della Châtelet, che contava 21.000 volumi, Voltaire e la compagna studiarono Newton e Leibniz.[61] Avendo fatto tesoro dei suoi precedenti attriti con le autorità, Voltaire cominciò a pubblicare anche anonimamente per stare fuori pericolo, negando ogni responsabilità di essere l'autore di libri compromettenti. Continuò a scrivere per il teatro e incominciò una lunga ricerca nelle scienze e nella storia. Ancora una volta, la principale fonte di ispirazione per Voltaire furono gli anni del suo esilio inglese, durante il quale era stato fortemente influenzato dalle opere di Newton. Voltaire credeva fortemente nelle teorie di Newton, in particolare per quanto riguarda l'ottica (la scoperta di Newton che la luce bianca è composta da tutti i colori dello spettro portò Voltaire a molti esperimenti a Cirey) e la gravità (Voltaire è la fonte della famosa storia di Newton e la mela caduta dall'albero, che aveva appreso dal nipote di Newton a Londra: ne parla nel Saggio sulla poesia epica).[62]
Nell'autunno del 1735, Voltaire ricevette la visita di Francesco Algarotti, che stava preparando un libro su Newton.
Nel 1736 Federico II di Prussia, a quel tempo non ancora re, cominciò a scrivere lettere a Voltaire. Due anni dopo Voltaire visse per un periodo nei Paesi Bassi e conobbe Herman Boerhaave. Nel primo semestre del 1740 Voltaire visse invece a Bruxelles e si incontrò con Lord Chesterfield. Conobbe il libraio ed editore Jan Van Duren, che più tardi avrebbe preso a simbolo del truffatore per eccellenza, per occuparsi della pubblicazione dell'Anti-Machiavel, scritto dal principe ereditario prussiano. Voltaire visse nella Huis Honselaarsdijk, appartenente al suo ammiratore. Nel mese di settembre Federico II, asceso al trono, incontrò Voltaire per la prima volta al castello di Moyland, vicino a Cleve, e a novembre Voltaire andò al castello di Rheinsberg per due settimane. Nell'agosto 1742 Voltaire e Federico si incontrarono a Aix-la-Chapelle (Aquisgrana). Il filosofo venne poi inviato al Sanssouci dal governo francese, come ambasciatore, per scoprire di più sui piani di Federico dopo la prima guerra di Slesia.[63]
Federico si insospettì e lo fece fermare e rilasciare dopo poco tempo; però continuerà a scrivergli lettere, una volta chiarito l'equivoco. Grazie al riavvicinamento con la corte, aiutato dall'amicizia con Madame de Pompadour, la favorita di re Luigi XV, protettrice anche di Diderot, nel 1746 fu nominato storiografo e membro dell'Académie Française, nonché Gentiluomo di camera del re; ma Voltaire, seppur apprezzato da parte della nobiltà, non incontrava affatto la benevolenza del sovrano assoluto: così, di nuovo in rotta con la corte di Versailles (che frequentò per circa due anni), avrebbe finito per accettare l'invito a Berlino del re di Prussia, che lo considerava un suo maestro.[64] Lo stesso lasso di anni fu doloroso dal punto di vista privato per il filosofo: dopo una lunga e altalenante relazione, tra ritorni e tradimenti nella coppia[65], la Châtelet lo lasciò per il poeta Saint-Lambert[66] e Voltaire rispose cominciando una relazione con la nipote Madame Denis (1712-1790), vedova, che in passato aveva tentato di sposare[67], secondo consuetudini nobiliari dell'epoca, approvate dalla Chiesa e di moda anche nella borghesia, che non consideravano incestuoso un legame tra zio e nipote.[68] La relazione con Madame Denis fu breve, anche se avrebbero convissuto platonicamente fino alla sua morte.[69] Inoltre quando, nel 1749, Madame du Châtelet, rimasta in buoni rapporti con lo scrittore, morì di complicazioni legate al parto, dando alla luce la figlia di Saint-Lambert (morta alla nascita), Voltaire l'assistette e rimase molto colpito dalla sua morte, definendola in una lettera la sua anima gemella. Poco dopo la morte di Émilie, Voltaire scriveva a un'amica: "Je n'ai pas perdu une maîtresse mais la moitié de moi-même. Un esprit pour lequel le mien semblait avoir été fait" ("Non ho perduto un'amante ma la metà di me stesso. Un'anima per la quale la mia sembrava fatta").[70][71]
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Lasciata la Francia, dal 1749 al 1752 soggiornò quindi a Berlino, ospite di Federico II, che lo ammirava, considerandosi un suo discepolo[72] e lo nominò suo ciambellano.[73] A causa di alcune speculazioni finanziarie, in cui lo scrittore era molto abile[74], nonché per i continui attacchi verbali contro lo scienziato Pierre Louis Moreau de Maupertuis, che non lo sopportava, ma che presiedeva l'Accademia di Berlino[75] e alcune divergenze di idee sul governo della Prussia, Voltaire litigò col sovrano e lasciò la Prussia[76], ma il re lo fece arrestare abusivamente, per breve tempo, a Francoforte. Dopo questo incidente sarebbero passati molti anni prima che i loro rapporti si pacificassero, riprendendo una corrispondenza epistolare col sovrano dopo circa 10 anni.[72][77] Voltaire accentuò quindi l'impegno contro le ingiustizie in maniera particolarmente attiva, dopo l'allontanamento dalla Prussia. Impossibilitato a tornare a Parigi, poiché dichiarato persona sgradita alle autorità[78], si spostò allora a Ginevra, nella villa Les délices, finché entrò in rotta con la Repubblica calvinista, che egli aveva ritenuto erroneamente un'oasi di tolleranza, e riparò nel 1755 a Losanna, poi presso i castelli di Ferney e Tournay, da lui acquistati, dopo essersi sfogato contro i politici di Ginevra con parole rabbiose e durissime in una lettera inviata all'amico d'Alembert.[79][80]
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(francese)
«Si c'est ici le meilleur des mondes possibles, que sont donc les autres?»
(italiano)
«Se questo è il migliore dei mondi possibili, gli altri come sono?»
(Voltaire, Candido o l'ottimismo, capitolo VI, 1759)
È di questo periodo la pubblicazione della tragedia Oreste (1750), considerata una delle opere minori del teatro di Voltaire, completata poco dopo l'abbandono della Prussia. In particolare da allora visse nel piccolo centro di Ferney, che prenderà il suo nome (Ferney-Voltaire). Qui riceveva numerose visite, scriveva e si dedicava alla corrispondenza con centinaia di persone, che in lui riconoscevano il "patriarca" dell'Illuminismo.[38][81]
Tra le persone che vennero a visitarlo a Ferney, oltre a Diderot, Condorcet e d'Alembert, vi furono James Boswell, Adam Smith, Giacomo Casanova, Edward Gibbon.[82] Nello stesso periodo cominciò la più feconda fase della produzione voltairiana, che univa l'Illuminismo e la fiducia nel progresso col pessimismo dovuto alle vicende personali e storiche (prima fra tutto il disastroso terremoto di Lisbona del 1755, che minò la fiducia di molti philosophes nell'ottimismo acritico). Voltaire dedica al sisma tre opere: il Poema sul disastro di Lisbona, il Poema sulla legge naturale (scritto precedentemente, ma rivisto e allegato al primo) e alcuni capitoli del Candido.[72] Il terremoto suscitò un vivace dibattito tra i philosophes.
Lo stesso argomento in dettaglio: Filosofia del disastro.
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Voltaire collaborò all'Enciclopedia di Diderot e d'Alembert, alla quale partecipavano anche d'Holbach e Jean-Jacques Rousseau. Dopo un buon inizio, e un parziale apprezzamento dei philosophes per le sue prime opere, quest'ultimo si distaccò presto, per le sue idee radicali in politica e sentimentali sulla religione: si veda La lettera sul terremoto di Lisbona, scritta da Rousseau a Voltaire[83], dal riformismo e dal razionalismo degli enciclopedisti; inoltre Rousseau non accettava le critiche alla sua città fatte da d'Alembert e Voltaire stesso nell'articolo "Ginevra", che avrebbe scatenato nuovamente le autorità svizzere contro i due filosofi, costringendolo a fuggire da Les delices.[84]
Voltaire cominciò a considerare Rousseau come un nemico del movimento, definendolo "il Giuda della confraternita", oltre che una persona incompatibile col proprio carattere (a causa della paranoia e gli sbalzi d'umore dell'autore del Contratto sociale) e, pertanto, da screditare con i suoi scritti, come veniva fatto con gli anti-illuministi espliciti. In una lettera a un componente del Piccolo Consiglio di Ginevra contraddirebbe le sue affermazioni tolleranti e assai più note, quando inviterebbe i governanti di Ginevra a condannare Rousseau con la massima severità.[85]
In realtà Voltaire rispose ad alcuni attacchi diretti proprio da Rousseau (notoriamente litigioso e che lo riteneva reo di non averlo difeso dalla censura: "Questi signori del Gran Consiglio vedono così spesso il signor Voltaire; come può non avere ispirato in loro quello spirito di tolleranza che predica senza pausa, e di cui ogni tanto ha lui stesso bisogno?"), e che istigava i ginevrini, nella Lettere scritte dalla montagna, dopo aver affermato che Voltaire era l'autore del Sermone dei cinquanta (una scandalosa opera anonima che denunciava la falsità storica del Vangelo), di colpirlo direttamente se volevano "castigare gli empi", anziché perseguire lui stesso.
«Possa questo grande Dio che mi ascolta, questo Dio che non è nato da una vergine né è morto sul patibolo, né lo si può mangiare in un pezzo di pane, né può avere ispirato questi libri pieni di contraddizioni, di sciocchezze e di orrori – possa questo Dio, creatore di tutti i mondi, avere pietà di questa setta di cristiani che lo bestemmia.»
(Sermone dei cinquanta, XXIV, attribuito a Voltaire)
Nonostante lo stesso Voltaire gli avesse offerto ospitalità a Ferney dopo le accuse subite per l'opera Emilio, ricevette da Rousseau in cambio diverse accuse, terminando in insulti reciproci. Alla fine, avvisato che Rousseau stava venendo di persona, Voltaire aveva sbottato "Che venga! Gli offrirò la cena e lo metterò nel mio letto e gli dirò: grazie d'aver accettato l'invito". In realtà, alla fine, l'incontro non ci fu mai. Voltaire, dal canto suo, si vendicò allora con la lettera in cui affermava che il vero "blasfemo sedizioso" era Rousseau e non lui, invitando ad agire con «tutta la severità della legge», cioè bandirne le opere "sovversive", senza tuttavia affermare esplicitamente di condannare il collega alla pena capitale.[85]
Nel pamphlet I sentimenti dei cittadini, Voltaire, mettendola in bocca a un pastore calvinista, scrive una delle frasi "incriminate" («occorre insegnargli che se si punisce leggermente un romanziere empio, si punisce con la morte un vile sedizioso») e afferma che «si ha pietà di un folle; ma quando la demenza diventa furore, lo si lega. La tolleranza, che è una virtù, sarebbe in quel caso un vizio».[85][86][87]. Vi rivela, poi, alcuni fatti disdicevoli della vita di Rousseau, come la povertà in cui faceva vivere la moglie, i cinque figli lasciati all'orfanotrofio e una malattia venerea di cui soffriva.[88]
«Riconosciamo con dolore e rossore che v’è un uomo che porta ancora su di sé il marchio funesto delle sue gozzoviglie e che, travestito da saltimbanco, trascina con sé di villaggio in villaggio e di montagna in montagna l’infelice donna di cui ha fatto morire la madre e di cui ha esposto i figli alla porta di un ospizio.»
(Voltaire, I sentimenti dei cittadini)
Per questo dissidio umano e intellettuale sono interessanti anche le lettere scambiate direttamente tra due filosofi: in una missiva sul Discorso sull'origine della diseguaglianza di Rousseau, in polemica col primitivismo del ginevrino, Voltaire gli scrisse che «leggendo la vostra opera viene voglia di camminare a quattro zampe. Tuttavia, avendo perso quest'abitudine da più di sessant'anni, mi è purtroppo impossibile riprenderla».[89] Dal canto suo, sentimenti contrastanti erano in Rousseau (nel 1770 sottoscrisse una petizione per innalzare a Voltaire un monumento). Già nel 1760 Rousseau aveva attaccato Voltaire a causa dell'articolo su Ginevra e per non aver preso le sue parti nel dissidio con d'Alembert:
«Io non vi voglio affatto bene Signore; voi mi avete fatto i mali di cui potevo patire di più, a me, vostro discepolo e vostro fanatico partigiano. Avete rovinato Ginevra come prezzo dell'asilo che vi avete ricevuto; (...) siete voi che mi farete morire in terra straniera (...) Vi odio, insomma, perché l'avete voluto; ma vi odio da uomo anche più degno di amarvi se voi l'aveste voluto. Di tutti i sentimenti di cui il mio cuore era compenetrato, vi resta solo l'ammirazione che non si può rifiutare per il vostro bel genio e l'amore per i vostri scritti.»
(Rousseau a Voltaire, 17 giugno 1760[90])
In una lettera privata del 1766 al segretario di Stato di Ginevra, Voltaire però negò che lui fosse l'autore de I sentimenti dei cittadini, probabilmente basato sulle confidenze degli ex amici di Rousseau (Diderot, Madame d'Epinay, Grimm):
«Non sono per nulla amico del signor Rousseau, dico ad alta voce ciò che penso di buono e di cattivo delle sue opere; ma, avessi fatto il torto più piccolo alla sua persona, fossi servito a opprimere un uomo di lettere, me ne sentirei troppo colpevole.»
(Voltaire, lettera del 1766[85])
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Voltaire, in questo periodo, si impegnò anche al fine di evitare il più possibile le guerre che insanguinavano l'Europa. Egli disprezzava il militarismo e sosteneva il pacifismo e il cosmopolitismo; un appello alla pace è presente anche nel Trattato sulla tolleranza.[91] Cercò di fare da mediatore tra la Francia e la Prussia di Federico II, per evitare la guerra dei sette anni.[92][93]
Al contempo però bisogna ricordare che, nella vita privata, portava avanti lucrosi e poco onesti affari proprio nel campo dei rifornimenti all'esercito.[94] Ricco e famoso, punto di riferimento per tutta l'Europa illuminista, entrò in polemica coi cattolici per la parodia di Giovanna d'Arco in La Pulzella d'Orléans, opera giovanile riedita, ed espresse le sue posizioni in forma narrativa in numerosi racconti e romanzi filosofici, di cui il più riuscito è Candido ovvero l'ottimismo (1759), in cui polemizzò con l'ottimismo di Gottfried Leibniz. Il romanzo rimane l'espressione letteraria più riuscita del suo pensiero, contrario a ogni provvidenzialismo o fatalismo. Da qui ebbe inizio un'accanita polemica contro la superstizione e il fanatismo, a favore di una maggiore tolleranza e giustizia.[72]
A questo proposito scrisse il citato Trattato sulla tolleranza in occasione della morte di Jean Calas (1763)[95][96] e il Dizionario filosofico (1764), tra le opere non narrative più importanti del periodo, che vide anche la continuazione della collaborazione con l'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert. Si dedicò anche a numerosissimi pamphlet, spesso anonimi, contro gli avversari degli illuministi.[72][97] Nel caso di Jean Calas, egli riuscì a ottenere la riabilitazione postuma del commerciante protestante giustiziato, e quella della famiglia proscritta e ridotta in miseria, arrivando a orientare la Francia intera contro la sentenza del Parlamento di Tolosa. Alla fine, la vedova, sostenuta da Voltaire, si rivolse al re, ottenendo anche l'appoggio della Pompadour, che sostenne la causa dei Calas in una lettera al filosofo.[98] Luigi XV ricevette in udienza i Calas; poi, lui e il suo consiglio privato annullarono la sentenza e ordinarono una nuova indagine, in cui i giudici di Tolosa vennero sconfessati completamente. Questo fatto segnò l'apice della popolarità e dell'influenza di Voltaire.[99]
Tra le altre opere del lungo periodo a cavallo tra la Prussia e la Svizzera, i racconti Zadig (1747), Micromega (1752), L'uomo dai quaranta scudi (1767), le opere teatrali Zaira (1732), Alzira (1736), Mérope (1743), oltre il citato Poema sul disastro di Lisbona (1756). E infine, le importanti opere storiografiche Il secolo di Luigi XIV (1751), scritto durante il periodo prussiano e in cui contribuisce a rendere celebre l'enigma della famosa Maschera di Ferro, e il Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni (1756). In una delle ultime opere prettamente filosofiche, Le philosophe ignorant (1766), Voltaire insistette sulla limitazione della libertà umana, che non consiste mai nell'assenza di qualsiasi motivo o determinazione.[100]
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La sua salute intanto cominciava a declinare ed egli chiese di poter rientrare in patria.[101] Già amico della precedente favorita di Luigi XV, Madame de Pompadour, strinse amicizia epistolare anche con la nuova maîtresse-en-titre, Madame du Barry, che lo andò a visitare nel 1778. Luigi XV morì nel 1774. All'inizio del 1778 Voltaire ottenne il permesso a tornare nella capitale. Rientrato a Parigi i primi giorni di febbraio del 1778, dopo 28 anni di assenza, ricevette un'accoglienza trionfale dal popolo e dagli intellettuali, tranne che dalla corte del nuovo re, Luigi XVI, che comunque aveva acconsentito alla revoca dell'esilio, e, ovviamente, dal clero. Il 7 aprile entrò nella Massoneria, nella Loggia delle Nove Sorelle[102][103], loggia parigina del Grande Oriente di Francia.[104][105] Assieme a lui venne iniziato anche l'amico Benjamin Franklin.[106]
Nonostante l'ostinato rifiuto, sino alla morte, della religione cattolica e della Chiesa - Voltaire era un deista - viene sostenuta la tesi che il filosofo si sia convertito in extremis alla fede cristiana.[107] A riprova della conversione di Voltaire abbiamo uno studio dello spagnolo Carlos Valverde. Mentre le sue condizioni peggioravano, Voltaire perse lucidità e assumeva forti dosi di oppio per il dolore.[108]. Un prete, Gauthier, della parrocchia di Saint-Sulpice, dove viveva Voltaire, venne a chiedergli una confessione di fede, perché egli non fosse sepolto in terra sconsacrata. L'unica dichiarazione scritta di suo pugno, o dettata al segretario, fu: "Muoio adorando Dio, amando i miei amici, non odiando i miei nemici, e detestando la superstizione".[109] Gauthier non la ritenne sufficiente e non gli diede l'assoluzione, ma Voltaire si rifiutò di scrivere altre confessioni di fede che sancissero il suo ritorno al cattolicesimo. Nonostante ciò, si diffusero, dopo la morte, documenti di dubbia autenticità che indicherebbero che abbia sottoscritto una professione di fede, firmata da Gauthier e dal nipote, l'abbé Mignot, anche questa però, ritenuta insufficiente, anche se più esplicita. La confessione è stata ritenuta da taluni di comodo, su sollecitazione degli amici, per avere degna sepoltura e funerali[110] oppure totalmente falsa, in quanto in contrasto con tutta la sua vita e la sua opera.[111]
Anche altri autori hanno riferito di una presunta autenticità della conversione di Voltaire[112] e sui suoi rapporti col parroco Gauthier.[113]
La conversione di Voltaire nei suoi ultimi tempi venne decisamente negata dagli illuministi, in particolare dagli anticlericali, in quanto ritenuta offuscare l'immagine di uno dei loro principali ispiratori e spesso non considerata sincera nemmeno dai cattolici.[114] Bisogna notare inoltre che anche Diderot[115] prese accordi con sacerdoti prima di morire, per poter essere decorosamente sepolto ed entrambi erano spinti con insistenza da amici e parenti, benché, come sappiamo da documenti, perlomeno Diderot non fosse davvero convertito. Anche l'ateo barone d'Holbach fu sepolto in una chiesa (accanto a Diderot stesso), avendo dovuto tenere nascoste le proprie idee in vita, per aggirare la censura e la repressione. Tutte queste analogie rendono probabile che non si trattò di vere conversioni e che Voltaire non tornò davvero al cattolicesimo; questo fu il motivo per cui la curia parigina oppose comunque il veto alla sepoltura, in quanto egli era morto senza assoluzione.[116][117]
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La versione degli amici racconta che, in punto di morte, il filosofo respinse ancora il sacerdote, che avrebbe dovuto dare l'assenso alla sepoltura, e che lo invitava a confessarsi chiedendogli un'esplicita dichiarazione di fede cattolica, che Voltaire invece non voleva fare (intuendo che volesse poi venire usata a fini propagandistici): alla domanda se credeva nella divinità di Cristo, Voltaire replicò: "In nome di Dio, Signore, non parlatemi più di quell'uomo e lasciatemi morire in pace".[118][11